Partire è un po' morire, almeno così dice chi si è affezionato al posto da cui parte. A volte è invece un girare pagina, con tanto entusiasmo e poca voglia di tornare. Tuttavia, è un po' nella natura umana, talora si è costretti a guardarsi indietro. Così, per chi scrive, a volte occorre sfrondare l'esistente, e tenere man mano solo le pagine piuttosto che tutto il giornale, perché non c'è spazio e gli articoli crescono di giorno in giorno. Ho deciso di raccogliere qui quelli scritti per varie riviste online e blog, magari alcuni persino chiusi o abbandonati, aggiungendo qualche pezzo cui ero particolarmente affezionato, benché pubblicato su cartaceo. Anche sugli argomenti mi sono limitato a tre, i preferiti, del resto: eros, arte e natura.

mercoledì 2 luglio 2014

Omaggio a Guido Crepax

Quando dalla metà alla fine degli anni ’70 Guido Crepax (15 luglio 1933 – 31 luglio 2003) rivisita tre classici dell’erotismo, aveva già alle spalle 10 anni del suo personaggio più famoso, Valentina (Rosselli), comparsa su Linus appunto nel 1965. Una trilogia, dicevamo: Histoire d’O (1975), dal romanzo di Pauline Réage, film nel ’76 di J. Jaeckin, con una giovane Corinne Clery che turbò i sogni di non pochi; Emmanuelle (1978), dal romanzo firmato da E. Arsan e film del ’74 sempre di Jaeckin; e Justine (1979), dal “divin marchese” De Sade. Valentina, come detto, già esisteva, ma la sua luce erotica era soffusa, non necessariamente funzionale alle storie. Qualche nudo, qualche generica lascivia… con i Settanta si acuisce la natura sensuale delle pagine: ne è un esempio la storia “cantiere” Riflesso (’74/’78). 


Le donne di Crepax non sono morbide e materne, non suggeriscono certo l’opulenza delle maggiorate pin-up, semmai sono modelle spigolose e pseudo-algide, alla Twiggy per intenderci, ancor meglio alla Veruschka, che assai spesso compare immortalata nelle sue storie: sono icone dell’intellettualismo del tempo, libere, emancipate, colte, esse stesse muse di sé stesse, si spogliano senza ingenuità e senza malizia. Mostrano la nudità come un vestito. Nelle sue opere c’è spesso anche interesse per il bondage, il sadismo, il masochismo. Anche in altri a dire il vero. In per alcuni la tortura è strumento serio di voluttà attraverso tormenti, oggetti, macchinari, Manara pare a volte prezzo stesso della bellezza, punita da figure invidiose e grottesche, altre volte bonaria sculacciata alla “bimba cattiva” e saltapicchi. In Crepax è ancora il filtro dell’eleganza che agisce sull’azione: il castigo consiste nell’esibire donne come mostri meravigliosi da esporre in gabbie dorate secondo i dettami d’un raffinato galateo che profuma un po’ di boudoir decadente, un po’ di Swingin’ London alla Blow Up di Antonioni, un po’ di art nouveau psichedelica alla Bonnie Maclean. E la sofferenza per lo più non è reale, ma onirica, fantastica e metafisica, inferta da carnefici alter ego capaci di infiammare la psiche con un fiammifero o di gettarle addosso una tonnellata di napalm. Ma non sempre le fini eroine di Crepax sono dominate. A volte dominano e giganteggiano, nel vero senso della parola: divengono immense figure, e meravigliose, che atterriscono i piccoli uomini formichina; il modello archetipo era, la ricordate, l’Anita Ekberg di Fellini che in Boccaccio 70 tormenta con la sua sua irresistibile sensualità il morigerato e bacchettone dottor Antonio, alias Peppino De Filippo. E sempre all’attrice svedese, ripresa da Manara nelle illustrazioni felliniane, si ispira appunto un’altra eroina di Crepax, Anita, mentre per Bianca (1984) la fonte era il ‘solito’ Swift. Ma ancora una volta l’Anita di Crepax sembra essere riletta, anzi ridisegnata, in una figura diversa da quella boccaccesca e felliniana.
da Il Corriere del Garda n° 21 - luglio 2012


Estratti da "Oh Valentina svestita di nuovo" -
disegni di Marianna Tomaselli e sceneggiatura di Sergio Lingeri

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