Partire è un po' morire, almeno così dice chi si è affezionato al posto da cui parte. A volte è invece un girare pagina, con tanto entusiasmo e poca voglia di tornare. Tuttavia, è un po' nella natura umana, talora si è costretti a guardarsi indietro. Così, per chi scrive, a volte occorre sfrondare l'esistente, e tenere man mano solo le pagine piuttosto che tutto il giornale, perché non c'è spazio e gli articoli crescono di giorno in giorno. Ho deciso di raccogliere qui quelli scritti per varie riviste online e blog, magari alcuni persino chiusi o abbandonati, aggiungendo qualche pezzo cui ero particolarmente affezionato, benché pubblicato su cartaceo. Anche sugli argomenti mi sono limitato a tre, i preferiti, del resto: eros, arte e natura.

martedì 26 agosto 2014

Lambretta: made in Italy per un perfetto british style



Vespa o Lambretta? In un ideale gioco della torre è uno dei grandi dilemmi del tipo “essere o non essere?”, o meno filosofici, “Beatles o Rolling Stones?”. È un confronto che non permette di tenere il piede in due scarpe, anzi, su due pedali. Se fossero una donna, la Vespa sarebbe Sofia Loren,  morbida e formosa, mediterranea, popolare, nel senso proprio di pop. La Lambretta sarebbe invece Virna Lisi, intellettuale, aristocratica, moderna, internazionale. Tondo contro squadrato, confortevole contro essenziale. La Innocenti, che diede vita allo “scooter del Lambro” nel 1947, concepì infatti la sua creatura come un monociclo leggero di grande praticità e semplice nelle linee. Da allora il successo fu immediato e negli anni Sessanta, lanciati i modelli a carrozzeria chiusa e faro alto dalla storica 125 LI terza serie, si giocò con la Vespa il titolo di regina degli scooters. La Lambretta è uno stile di vita, come lo è anche la concorrente della Piaggio. Alla bimba della Innocenti si attribuisce maggiore stabilità per il fatto di avere il telaio fisso (contro il portante della Vespa), il motore centrale, la doppia forcella e le ruote più grandi. Di contro consuma di più ed è più delicata in quanto meccanicamente più complessa. Al tempo la Lambretta era considerata più elitaria e ai giorni d'oggi più che mai attira collezionisti esigenti e appassionati per la rarità di alcuni esemplari e la difficoltà di reperimento dei pezzi di ricambio. Avere una Lambretta in garage mantenuta in perfetto stato è come avere un gioiello in una teca, al pari di altre moto storiche o delle macchine d'epoca. Tra le più mitiche e ricercate ricordiamo la 175 TV Gold (con la carrozzeria originale di uno stupendo color oro), l'affascinante Cento, la piccola Junior 50, la 125 DL detta “Macchia nera” e disegnata da Bertone o l'ammiraglia 200 DX, ovvero il “Lambrettone”. Modernità, ma anche MODernismo. Nella sottocultura britannica dei MODS infatti, la Lambretta era un simbolo di stile, da tenere perfetta e pulita al pari dei propri preziosi vestiti. Così, sulle orme del film Quadrophenia con la colonna sonora degli Who, le rock star inglesi che aderiscono al movimento come il “modfather” Paul Weller dei Jam e degli Style Concil, i fratelli Gallagher degli Oasis o il ciclista vincitore del Tour de France, Bradley Wiggins, non mancano di farsi fotografare in garage  vestiti eleganti accanto a una delle loro (tante) Lambrette. Lo scooter diventa un accessorio importante per accompagnare il completo, retrò, magari tonic (a tessuto lucido) e tagliato su misura all'inglese (ma spesso di sartoria italiana), con giacca a tre bottoni, doppio spacco laterale e pantaloni a sigaretta stretti e corti alla caviglia che esaltino un paio di raffinati mocassini, stivaletti o brogues (scarpe classiche a coda di rondine, anche bicolori). Un armonioso binomio tra il made in Italy e lo stile britannico, per chi crede nella fede MOD, o più semplicemente ama questo look  riconoscibile eppure sempre sobrio ed elegante.  

da Golf for passion, n° 61, agosto 2014









lunedì 25 agosto 2014

L'utopia della bellezza



Londra, settembre 1848, al numero 83 di Gower Street 7 ragazzi tra i 16 e i 20 anni fondano la Confraternita Preraffaelita (PRB). In reazione alla ormai stanca arte accademica occorreva un moderno ritorno al passato, precedente al tradimento di Raffaello che dalla Trasfigurazione in poi preferì la bellezza alla verità. Occorreva un'arte che recuperasse l'antica etica del lavoro artistico, pur tenendo conto delle scienze nuove; tra queste la fotografia, regina assoluta del verismo. Un precedente analogo c'era stato nei Nazareni, detti anche Fratelli di Isidoro o Dureristi (da Dürer), comune di 4 artisti tedeschi attivi a Roma dal 1810 ma che lasciò tracce per pochi eletti, forse per mancanza di pubblicità. Con una rivista propria invece, the Germ, e soprattutto un amico-estimatore tra i critici, John Ruskin, i Preraffaeliti decollano codificando di fatto un linguaggio estetico molto influente. Un esempio? L'originaria Alice di Lewis Carroll, che da mora con frangetta alla Crepax diverrà ben presto boccolosa alla Disney seguendo il canone della Confraternita. Tra gli esponenti della prima generazione spiccano Dante Gabrile Rossetti, il quale erediterà oltre al nome anche la venerazione per l'Alighieri dal padre, geniale critico dantesco che identifica il Veltro dell'Inferno con l'anagramma di LVTERO. Fu più arcaico e austero nella pittura rispetto ai compagni, talora con reminiscenze  fiamminghe o dell'amato William Blake, come nel caso dello splendido Ecce ancilla domini del 1850. Più morbido Millais, il cui capolavoro Ofelia è tra i manifesti del movimento: eco rinascimentali e romantiche della letteratura inglese (Chaucer, Tennyson, Shakespeare, Keats...) e una cura maniacale del dettaglio. Nella cornice simbolista dei fiori dipinti con sorprendente realismo Ofelia è la modella Elizabeth Lizzy Siddal, bellezza decadente che fu musa e moglie anche di Rossetti, morta per overdose di laudano nel 1862. Un aneddoto riguardo al quadro vuole che il pittore la tenne per ore a posare nella vasca da bagno fino a farla divenire quasi blu, un altro sulla sua morte che le chiome della fanciulla continuassero a crescere anche nella sua tomba. Dettagli dicevamo, come i capelli e le decorazioni de La Dama Shalott di Holman Hunt, costate al pittore 3 anni di lavoro, e che insieme a Burne Jones  anticipano l'Art Nouveau, il Liberty, il compianto Aubrey Beardsley e Bonnie Maclean. Una summa del movimento, sia nello stile che nei soggetti, si nota nel (poco) più tardo Waterhouse, fluido ed etereo nel tratto e cui è affidato il testamento della PRB.

da Golf for Passion, n° 61, agosto 2014